Home ARCHIVIO generale AUTORI DISARMANTI, PENNE FELICI

AUTORI DISARMANTI, PENNE FELICI

0
AUTORI DISARMANTI, PENNE FELICI

Raccolta di articoli, testimonianze e appunti meritevoli di essere riletti.

In continuo aggiornamento

-oOo-

14 Settembre 2012
Michele Scola: “Il vero predatore nocivo è il cacciatore” (Resp.Italia Nostra, Grosseto)

Caccia-Grosseto: “I cacciatori, fra le varie leggende che mettono in circolazione allo scopo di tutelare e di incrementare il loro mortifero “sport”, insistono nell’accusare alcune specie animali, come ad esempio le volpi e i rapaci, di essere animali nocivi – scrive Michele Scola, presidente della sezione di Grosseto di Italia Nostra – Così nocivi che, per incoraggiare l’uccisione delle povere volpi, hanno deciso di mettere in atto, come abbiamo appreso i giorni scorsi dalla stampa quotidiana, l’espediente di premiare con 15 euro la consegna di ogni coda di volpe uccisa. Un’iniziativa che rivela, più di tante parole, il barbaro, intollerabile sadismo che anima i cacciatori.
Non gli basta uccidere animali per diletto: vogliono oltraggiarli con atti di spregioanche quando sono morti. Come i pellirosse, che tagliavano lo scalpo ai nemici e lo esibivano come un trofeo. E poi i cacciatori si indignano se qualcuno li definisce “killer”. Occorre rispondere a un paio di domande. Nei confronti di chi sarebbero nocive le volpi, e per quale ragione? Lo spiega senza mezze parole Paolo Isidori, presidente provinciale di Libera Caccia. “Gli Atc (Ambiti Territoriali di Caccia) – spiega – con i soldi dei cacciatori, ogni anno lanciano molta selvaggina (fagiani, starne, pernici, lepri), ma il 90% di questa diventa facile preda di poiane, gazze, cornacchie, ma soprattutto volpi. La volpe è il predatore per eccellenza, più mangia e più si riproduce.”(…)
Definire “nocivo” un animale è un concetto utilitaristico che risale ai tempi antichi. Ogni specie vivente svolge una propria funzione nell’equilibrio degli ecosistemi.
Di veramente nocivo c’è soltanto il peggior predatore della Terra, la scimmia nuda chiamata uomo” conclude Scola…. 10.09.2012 – LEGGI TUTTO ALLA FONTE: http://www.maremmanews.tv/it/index.php?option=com_content&view=article&id=22706%3Ascola-qil-vero-predatore-nocivo-e-il-cacciatoreq&catid=38%3Aambiente&Itemid=58

 

21 Ottobre 2011
Bracconieri e cacciatori? Per me non c’è alcuna differenza: sparano solo per il gusto di uccidere

di Oscar Grazioli – E basta, non se ne può più di questi cacciatori travestiti da bracconieri o bracconieri travestiti da cacciatori. Sì, sono assolutamente conscio del fatto che ci sono un certo numero di cacciatori che osservano regole e leggi e una minoranza assoluta che applica delle proprie leggi addirittura molto più severe di quelle imposte. Ho amici che vanno a caccia e sparano un solo colpo. Se sbagliano, un giro salutare con il cane e si torna a casa ugualmente contenti. Ho amici che non vogliono sapere di lepri e fagiani che sembrano conigli e galline d’allevamento (non sembrano, lo sono) imbambolate dal Valium, ma s’inoltrano nel bosco alla ricerca di una beccaccia dal volo saettante e irregolare, che schizza dal buio di un cespuglio e, quasi sempre, ti lascia con un palmo di naso.

Ho amici che non si metterebbero mai dentro una “botte” con gli stampi di plastica, o peggio anatre e trampolieri da richiamo, nell’attesa di uccelli che hanno fatto migliaia di chilometri sparandogli a tradimento appena si posano in acque apparentemente tranquille. Sono notoriamente contrario alla caccia, ma c’è un tipo di caccia (quella alla migratoria, ai piccoli uccelli, quella dei safari ecc.) che è talmente odiosa da farmi invocare ogni giorno un referendum. Quando poi sento che i volontari della Protezione Animali, chiamati dagli studenti dell’istituto alberghiero di Finale Ligure, hanno raccolto una rarissima aquila minore impallinata ad un’ala mi viene una rabbia indicibile a pensare che un cacciatore o un bracconiere l’ha fatto apposta. Come si fa a confondere la sagoma di un’aquila? Aquila che non potrà più volare, esattamente come lo splendido esemplare di astore (un raro falco di bosco) trovato domenica dalla Polizia Provinciale di Macerata, a seguito di una segnalazione di alcuni cittadini. L’uccello, una femmina, era intrappolato in una tagliola posizionata illegalmente dai proprietari all’interno di un centro di riproduzione della selvaggina.

L’animale era intrappolato in una tagliola posizionata illegalmente dai proprietari all’interno del centro di riproduzione della selvaggina. Portato alla clinica dell’Univeristà di Matelica, l’unica cosa da fare per i veterinari è stata quella di amputare una zampa. La necrosi provocata dalla tagliola non ha lasciato alcuna possibilità d’intervento riparatore. Nell’entroterra maceratese sono pochissime le coppie di astori nidificanti. Ora ce n’è una in meno. E che dire delle migliaia di uccelletti trovati nel bresciano e nel bergamasco, di cui quasi ogni settimana i servizi di Striscia ci danno conto? E che volete che succeda a questa gentaglia. Conosco un giovane friulano denunciato più volte per uccellagione che se ne va tranquillamente a caccia ogni giorno con la sua licenza immacolata. Per me sarebbe ora di dire basta. Sul serio.
Fonte: http://notizie.tiscali.it/opinioni/Grazioli/2041/articoli/Bracconieri-e-cacciatori-Per-me-non-c-alcuna-differenza-sparano-solo-per-il-gusto-di-uccidere.html

 

27 Settembre 2011

LA CACCIA, SE LA CONOSCI NON LA RISPETTI!

di Riccardo IANNICIELLO – In questo mese, (settembre 2011) su alcuni quotidiani un’intera pagina è sistematicamente comprata dalle varie associazioni venatorie presenti in Italia per difendere la caccia. Il testo che vi si legge presenta tali inesattezze, approssimazioni e incongruenze da richiedere urgenti e doverose rettifiche soprattutto perché si fa un uso strumentale di alcuni dati, facendo passare così messaggi scorretti e fuorvianti.
Si legge per esempio: “La caccia in Italia non costituisce pericolo per l’estinzione di nessuna specie”. Come dire: possiamo ammazzare tranquillamente gli animali selvatici, tanto non c’è pericolo che si estinguono. Una filosofia da quattro soldi, tipico di persone abituate a macinare grani grossolani.
Leggiamo ancora: “In Italia la caccia non è consentita nei periodi di riproduzione della specie ed è esercitata solo su parte del territorio nazionale”. In realtà la caccia in Italia è consentita nei periodi (settembre, ottobre, novembre) in cui i piccoli di molte specie dipendono, per vivere ancora dai genitori. Se poi consideriamo la pre-apertura della caccia ai primi di settembre, realtà ormai diffusa in molte regioni, capiamo come sia inesatta quella dichiarazione.
Troviamo poi nel documento: «Oltre l’80% dei cacciatori condanna duramente il bracconaggio e lo ritiene tra i principali fenomeni da combattere». La risposta è semplice: perché i bracconieri competono con i cacciatori per la mattanza gratuita agli animali selvatici. E’ solo una questione di competizione.
Infine: «I cacciatori prestano migliaia di ore di volontariato per la gestione e il ripristino degli ambienti naturali e per la conservazione della fauna, impegnandosi in attività di prevenzione di incendi, pulizia boschi e sentieri, difesa e valorizzazione della biodiversità».
E’ vero, i cacciatori prestano migliaia di ore di lavoro di volontariato per la gestione e il ripristino degli ambienti naturali ma non per la conservazione della fauna e non certo per la difesa e la valorizzazione della biodiversità: ammazzando degli animali non per necessità ma per divertimento non si capisce come possano difendere la biodiversità. E’ semplicemente una contraddizione in termini.
Io preferirei che le associazioni di cacciatori ammettessero di praticare uno sport cruento, di uccidere altri essere viventi per il gusto di uccidere senza tentare subdole risibili strade per indottrinare la gente facendo passare per ecosostenibile una pratica biocida, profondamente in antitesi con il rispetto della biodiversità: ciò conferirebbe loro almeno la dignità di essere coerenti con se stessi, di essere uomini.
Fonte: http://www.finanzainchiaro.it/dblog/articolo.asp?articolo=11426

 

20 Settembre 2011

Caccia: una strage senza fine e senza senso

L’esercizio della caccia in Italia è la lampante dimostrazione che la democrazia (il governo del popolo) è, nelle società capitaliste, solo una vuota parola.

di Fabio Balocco – In Italia circa l’80% dei cittadini è contrario alla caccia. I nostri politici lo sanno benissimo ma non hanno mai fatto nulla, non dico per abolire, ma almeno per restringere di molto i confini dell’attività venatoria (almeno, ad esempio, vietarla a certe specie, su terreni innevati, alla domenica). Sarebbe questo il governo del popolo? Se io, politico, so che i miei elettori sono contrari alla caccia, perché non faccio nulla per rappresentarli in questo campo? Scusate, domanda del tutto pleonastica, anzi, idiota.

E non solo i politici non fanno nulla, ma quando ci sono stati i due referendum sulla caccia non hanno mosso un dito perché si raggiungesse il quorum, col bel risultato che in Italia esiste ancora una assurda norma del Codice Civile (art. 842) che permette l’accesso ai cacciatori (ma non anche ai pescatori…) ai fondi privati per abbattere la selvaggina (termine che solo ad usarlo mi fa venire i brividi).

Eppure i cacciatori sono una razza in via d’estinzione. Dal 1980 al 2007 essi sono diminuiti del 55,8%, e la loro età media è compresa fra i 65 ed i 78 anni. Questo la dice lunga anche sulla loro capacità lobbistica, cui i nostri parlamentari sono così sensibili…

Ma prima dei cacciatori, purtroppo, si estinguerà almeno la tipica fauna alpina (coturnice, fagiano di monte, lepre variabile, pernice bianca). Io vado in montagna da più di trent’anni e in tutte le gite che ho fatto ho visto solo due volte delle pernici bianche. Poi basta. Eppure ogni anno si consente la caccia persino a queste specie in via di palese e drastica diminuzione.

Questo per non parlare dei cosiddetti “ripopolamenti” (tipico esempio il cinghiale, ma anche il capriolo) ad opera delle associazioni venatorie, ripopolamenti che alterano ulteriormente gli equilibri di ecosistemi già in parte compromessi.

Ma poi, santo Dio, consentitemi, a parte ogni discorso politico ed ecologico, dove sta il senso di sparare a un merlo, a un tordo, a un fringuello o a un camoscio? Eppure questa gente si diverte. Questa gente è malata…
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/20/caccia-una-strage-senza-fine-e-senza-senso/158516/

 

10 Luglio 2011
Lettera a Luigi Meneghello sulla “cultura”.

di Natalino Balasso – Caro Gigi, lo so che secondo la tua professione di lucido ateismo, ora che sei morto, sei convinto di non esistere più. Io ti voglio scrivere lo stesso, un po’ perché mi rimproveravi di non farlo, un po’ perché c’è una cosa che ti devo dire. Tu hai reso noto il tuo paese natale: Malo, grazie al tuo celebre romanzo e a Malo riposi, nel cimitero del paese. E’ giusto quindi che tu sappia che il tuo paese natale non ha più un assessorato alla cultura. Eppure c’è una biblioteca i cui responsabili si danno molto da fare, ci sono le scuole, ci sono gruppi di lettura e di canto. Si organizzano ogni anno interessanti iniziative culturali. Al posto dell’assessorato c’è un’istituzione (bisognava pur assicurare un posto all’assessore mancato) con tanto di Consiglio di amministrazione che gestisce un bel po’ di denari e che ha un filo diretto col sindaco il quale tra l’altro si occupa anche dell’identità veneta. Così come l’assessore all’ecologia e all’ambiente si occupa anche della sicurezza.

Ma non c’è più l’assessorato alla cultura perché vedi, Gigi, qualcuno deve aver preso sul serio quello che diceva quel tizio e cioè che con la cultura non si mangia, ora si mangia con l’identità e quando si è trattato di scegliere (c’erano troppi assessorati) quale assessorato eliminare, ci si è guardati in faccia e ci si è detti: chi facciamo fuori? Non certo il settore caccia, visto che i voti dei cacciatori sono importanti e poi, a cosa serve il teatro o il cinema in fondo? A cosa servono i libri? Si mangia col teatro? Con la letteratura? Ci si diverte un po’ e basta. Tu potresti replicarmni con la domanda “a cosa serve la caccia?”. Dovrai ammettere che per lo meno con la caccia si mangia, anche se si mangia cacciagione che diciamocelo pure, è anche un po’ rincoglionita, uccelli di allevamento liberati e disorientati.

Io non credo Gigi che questo avvenga perché a Malo c’è la Lega.

Anzi, mi stavo proprio chiedendo: e se avessero ragione loro? Diciamoci la verità, se quello che fa l’assessorato alla cultura è organizzare il concerto dei Pooh o la notte bianca o lo spettacolo dell’ultimo nome di moda televisivo senza nemmeno premurarsi di rientrarci coi soldi, se organizza grazie agli sponsor incontri in cui si parla dei suddetti sponsor, se quello che conta è far lavorare qualcuno, con iniziative tipo spendere 70.000 euro per i fuochi d’artificio, se parlo di Zanzotto e mi chiedono in che squadra gioca, se il festival shakespeariano di Verona presenta come spettacolo di punta uno Shakespeare interpretato dai cabarettisti di Zelig, a cosa serve l’assessorato alla cultura? Qualunque Pro Loco può organizzare robetta del genere. Quando si parla dei tagli alla cultura tutti si premurano di dimostrare che la cultura porta profitto, ma perché? Ma chi l’ha detto che tutto deve portare profitto, quando sappiamo che non è vero? Perché la missione in Afganistan non porta profitto, il Ponte sullo Stretto non porterebbe profitto, ormai persino l’alta velocità porterebbe ben poco profitto, perché proprio la cultura dovrebbe essere obbligata a portare profitto?
Oltretutto, quando penso alla cultura, non so perché, mi viene in mente il vecchio loggionista del teatro dell’opera che conosce i libretti a memoria e ha la quinta elementare, il giardiniere che conosce tutte le piante che vede, il meccanico che sa come funziona una macchina, il dilettante che sta coi piedi in laguna una vita e scopre che Venezia è stata romana. Quella cultura identificava un paese, non c’era bisogno di assessorati all’identità, di camicie verdi, di loghi inventati, di terre da libri fantasy come la Padania. Quella cultura non esiste più. Non c’è più la cultura Gigi e ormai, vedi anche tu che gli unici ai quali non riesce di darla a bere sono i morti. Un altro morto, Pier Paolo Pasolini, direbbe alla nazione “sprofonda nel tuo bel mare, libera il mondo”. Io mi limiterei a dire che il problema dei fondi alla cultura non si pone, perché siamo già riusciti da tempo nell’impresa di abolire la cultura.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/10/lettera-a-luigi-meneghello-sulla-cultura/144435/

 

04 Novembre 2010

Il cinghiale espiatorio

di Pino Paolillo – cacciastop – Sig. Francesco, se per capire qualcosa di caccia bisogna spappolare il cervello o il fegato ad un cinghiale con una fucilata, oppure, dopo averlo ferito facendogli sballottolare la zampa semiamputata dalla palla, finirlo con un coltello piantato nel cuore (nel gergo a lei familiare : “accorare”), allora sono felicissimo di confessare che continuerò a non voler capire niente di caccia fino alla fine dei miei giorni.

Lascio ad altri il piacere sadico di portare sul cofano del fuoristrada o a mo’ di paraurti il corpo sanguinante dell’animale come trofeo (mi chiedo solo come finirebbe la leale competizione sportiva senza carabina o cal.12).
Se, viceversa, sulla caccia ci si informa attingendo da fonti non sospette, credo che sulla “questione cinghiale” il mondo venatorio italiano abbia solo da recitare il mea culpa.

Meno male che c’è lei a ricordarci che “i cinghiali in Italia ci sono sempre stati”, anche se poi aggiunge che quando gli stessi sono stati “introdotti” (e quindi immessi dove non c’erano…), erano tutti d’accordo. Beh, proprio tutti no: vorrei conoscerli questi strani “animalisti” favorevoli ai “lanci” di cinghiali per favorire cacciarelle maremmane, salsicce e sagre paesane a base di bistecche del povero selvatico.

In realtà un secolo fa il cinghiale aveva un areale molto più ristretto rispetto all’attuale, tanto da non essere presente più a nord della stessa Toscana (cfr. Massei e Toso, 1993, Biologia e gestione del Cinghiale. Doc. Tecnici INFS, oppure AA.VV., 2004 Il manuale del cacciatore di cinghiale, Ediz. Greentime), essendo stato sterminato nei secoli precedenti dalla persecuzione diretta ( o, se preferisce, da una terribile epidemia di rogna, chissà!). Poi, a partire dagli anni ‘50, sono cominciate le massicce operazioni di introduzione di cinghiali provenienti dall’estero (Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia) e le immissioni di animali allevati in diverse regioni italiane e questo unicamente per mere finalità di consumismo venatorio; in parole povere, per fare carniere. Ma ancora nel 1987 (Cfr . Perco F., Ungulati. C.Lorenzini Edit.) non era presente su gran parte dell’Emilia Romagna, del Piemonte, della Lombardia, assente totalmente in Puglia, Sicilia, Veneto, Trentino A. Adige , Friuli e Valle d’Aosta.

Quanto al fatto che i cinghiali si sono riprodotti “a dismisura”, come dice lei, è proprio quello che i cacciatori vogliono e che hanno favorito in tutti i modi, così da causa del problema, si possono proporre come soluzione del problema stesso. E questo perché se c’è una categoria che ha tutto, ma proprio tutto l’interesse a mantenere una massiccia presenza di cinghiali sul territorio, non possono essere che i cacciatori stessi, che quindi fanno ricadere sugli altri (agricoltori) i danni e su di essi i benefici. E’ un po’ come se un gommista se ne andasse in giro a bucare le ruote o un carrozziere a rigare le auto in sosta. Tanto peggio per loro (gli agricoltori), tanto meglio per noi (cacciatori).

Ora, a parte la contraddizione (quando dice che eravamo d’accordo con i ripopolamenti , si presume per fini venatori, non certamente per fare il “boar-watching”) non mi pare che sul Cinghiale ci sia stato questo “pressante protezionismo”, visto e considerato che nei tre mesi di caccia consentiti dalla legge (relatori: presidenti Federcaccia e Arcicaccia di allora), di cinghiali in Italia se ne ammazzano allegramente quasi 100.000 (93.045 nell’annata 1998-1999 secondo la Banca Dati Ungulati dell’INFS), da considerarsi però un dato per difetto, visto che: “ in molte aree i dati relativi alle azioni di caccia non vengono raccolti, mentre in altre esiste comunque una discrepanza tra il carniere dichiarato e il numero di cinghiali abbattuti” (AA.VV. Banca dati Ungulati, 2001- Biol. Cons. Fauna 109 . INFS)

Badi bene che queste cose non le scrive un fanatico animalista vegetariano, ma il Direttore dell’ex INFS, cacciatore di cinghiali . Della serie, se lo dice lui… Per non parlare poi degli abbattimenti illegali come quelli effettuati con i lacci e di notte (ovviamente quando non ci si confonde con un prete che dorme in un sacco a pelo…).

Non so a lei, ma a me la parola “censimenti” sui Cinghiali mi fa ridere: nessuno, ripeto nessuno, potrà mai stabilire quanti cinghiali ci sono in Italia (e censire significa contare); altro discorso sono le stime e le stime “orientative e largamente approssimate” fornite dati tecnici (v. banca dati succitata) parlano di un numero che oscilla tra 300.000 e 500.000 (con uno scarto quindi di ben 200.000 !!). E questo per un motivo molto semplice, essendo il Cinghiale l’Ungulato più difficile da censire, per le abitudini e il tipo di habitat che frequenta.

Per cui alla fine, in rari casi, per ottenere una stima indiretta, si ricorre all’analisi dei carnieri (e quindi una conta dei morti) e, ancora più raramente, all’esame dei denti o del cristallino del cadavere per stabilire le classi di età (cfr.AA.VV., 2003 -Linee guida per gestione del Cinghiale. Ministero per le politiche Agricole e Forestali- INFS).

Non a caso : “Il quadro relativo alle conoscenze circa le densità e le consistenze delle diverse popolazioni italiane rimane tuttora alquanto carente e poco conosciuto, come conseguenza di una gestione che, a parte qualche eccezione, risulta priva delle indispensabili basi tecnico-scientifiche e di un’adeguata programmazione e coordinamento degli interventi.” E ancora: “ nel caso del cinghiale, se si eccettuano rare eccezioni, non esiste un rapporto organico tra consistenza e prelievo e pertanto non vengono effettuati censimenti e neppure vengono calcolati indici relativi d’abbondanza su serie storiche.” (Banca Dati Ungulati, op. cit.)

Capisco che per lei l’unica soluzione, almeno per crearsi l’aureola di salvatore della patria, sarebbe quella della caccia senza limiti e confini, nelle aree protette e magari tutto l’anno, ma sono più che sicuro ( e stavolta lei non faccia finta di negare) che nel momento in cui, per pura ipotesi, di cinghiali se ne sparassero di meno, sareste i primi a sbraitare per avere nuovi ripopolamenti o a provvedere da soli , perché altrimenti sareste condannati a non andare più a caccia di cinghiali.

Quindi i primi a godere dei danni agli agricoltori, siete proprio voi, perché allora non vi sembra vero di proporvi come la (falsa) soluzione di un problema che invece volete che resti irrisolvibile.

Del resto la stessa forma di caccia utilizzata , la cosiddetta braccata con i cani da seguito, non fa altro che favorire una strutturazione artificiale delle popolazioni e della loro dinamica, con una prevalenza proprio di quegli individui giovani che sono i maggiori responsabili dei danni alle colture, oltre a rappresentare un grave disturbo per l’insediamento di altri Ungulati (vedi capriolo) e persino per gli altri cacciatori (vedi beccacciai).

E allora, visto che il cinghiale si caccia, eccome e visto che è impensabile pensare di eradicarlo dal territorio italiano (ma i primi a non volerlo, come abbiamo visto, sarebbero i cacciatori), bisogna , come dicono i tecnici, trovare un punto di equilibrio tra le varie esigenze e a questo punto, fatti salvi i diritti dei contadini di difendere i loro raccolti con metodi incruenti, mi riesce davvero difficile capire perché mai quel punto di equilibrio debba concretizzarsi nella morte di un animale da un lato e il divertimento di un uomo dall’altro.

Continuo a pensare che si tratti di esigenze inconciliabili. Pino Paolillo

P.S. come vede ho seguito il suo consiglio e ho cercato di informarmi meglio, ma comunque, se dovesse restare insoddisfatto e per toglierle ogni dubbio, parafrasando il vecchio Socrate, continuerò a fare finta di sapere.

Fonte: http://cacciastop.org/2010/11/04/il-cinghiale-espiatorio/

 

12 Settembre 2010

Il mondo dei cacciatori. La testimonianza di un “pentito”
Credo che non ci sia niente di male a rinnegare una scelta di vita consolidata e seguita alla lettera per anni.
Parlo di rinunciare ad essere cacciatore ed appendere i fucili al chiodo.

Penso che sia davvero una mossa coraggiosa riuscire a ribaltare qualcosa del comportamento che in momenti particolari della propria esistenza abbia condizionato il nostro percorso esistenziale. Gli amici, i parenti, i familiari, l’ambiente sociale in cui siamo inseriti esercitano delle pressioni fortissime che quasi ci obbligano ad atteggiarci in certa maniera anziché in un’altra. Il condizionamento rappresenta il confine fra l’essere escluso ed il partecipare: la frontiera fra il condividere e la solitudine.

Spesso certe scelte sono quindi obbligatorie, particolarmente in quelle piccole realtà sociali dove sei esposto al giudizio di tutti e dove il comportamento deviante salta all’occhio troppo evidente ed offende il patrimonio culturale di tutti.

Essere cacciatori in certi luoghi d’Italia dove la tradizione venatoria si perde nella notte dei tempi (provate a pensare alla provincia di Brescia dove risiedono i principali produttori di armi) rappresenta condicio sine qua non per ottenere il giusto credito sociale, stima, rispetto, cerchia di amicizie, inserimento nel mondo del lavoro. Ecco perché sarà estremamente difficile sradicare certe consuetudini consolidate perché far marcia indietro o rifiutare in partenza una tradizione, rappresenterebbe un comportamento deviante e quindi riprovevole. Circa venticinque anni fa, dopo altrettanto tempo vissuto fra fucili, cani, cartucce, polveri da sparo, bilancine di precisione, richiami vivi in gabbietta ho deciso di appendere i miei sei fucili al chiodo. I tempi erano cambiati: l’ambiente si degradava di giorno in giorno. Gli spazi si riducevano. Gli animali di passo calavano di anno in anno. E anch’io maturavo una nuova coscienza che mi impediva di portare ancora in casa i miei carnieri di fronte alle mie piccole bimbe sbigottite e nauseate.

Da anni le mie escursioni in natura sono motivate dal desiderio di catturare solo immagini con le mie reflex. E’ un passo che si può fare. Ci vuole grande coraggio a chiudere con la caccia perché eserciti una forte violenza su te stesso e sugli amici. Ma poi con gli anni tutto appare così distante ed assolutamente estraneo alla tua persona. E’ questa è la miglior ricompensa che ti ripaga di tutte le vergogne che hai commesso..

Parola di Beppe -12 settembre 2010
http://www.facebook.com/photo.php?pid=1119208&fbid=1482045702782&op=1&o=global&view=global&subj=293563852218&id=1583034503

 

Aprile 2010

Caccia: le armi in famiglia –

di Margherita D’Amico – Oggi e domani a Roma, in Piazza Montecitorio, le principali associazioni ambientaliste e animaliste manifesteranno davanti alla Camera dei Deputati chiedendo di non approvare l’assurdo articolo 43 della legge Comunitaria, che consentirebbe alle regioni di modificare i termini massimi della stagione di caccia.
Poiché è la terza volta, in un anno o poco più, che si persegue a forza l’obiettivo di deregolamentare e incoraggiare irrazionalmente l’attività venatoria, diletto di una minoranza di settecentomila individui, dimezzati rispetto al milione e mezzo degli anni Novanta, sgraditi alla maggioranza dei cittadini (perlopiù abolizionisti) come i sondaggi testimoniano, diviene urgente non solo domandarcene la ragione, ma anche formulare una risposta.
Benché è fuori discussione che chiunque abbia coscienza evoluta sul rispetto della vita, la conservazione della natura, la salvaguardia della bellezza, della sensibilità e dell’intelligenza, consideri oggi la caccia in Occidente un’occupazione da primitivi, al riguardo la collettività opera una rimozione relegandola in uno spazio – i boschi e le campagne – che non è più lontano. Divorato anch’esso da alcune logiche, quelle dell’industria, che ne vorrebbero insieme l’esistenza e il consumo.
Nel caso della caccia, esiste una particolare produzione che costituisce il cuore della vicenda. Quegli utensili dotati dell’esclusiva funzione di uccidere, chiamati armi.

Nella legalità, le armi si usano in guerra, nella sicurezza pubblica, per la difesa personale e per la caccia.
Nei primi due casi, le armi sono appannaggio di militari e polizia. Nel terzo caso, nel nostro Paese, per fortuna non sono ostentate, né concesse con grandissima facilità.
La caccia, in ultima analisi, rimane dunque il ponte fra le armi (di cui l’Italia è ricco produttore e esportatore) e il comune cittadino.
La caccia e i cacciatori costituiscono l’unica legittimazione possibile dell’immagine delle armi in mezzo alla gente. Consentono la diffusione di materiale – riviste, dvd – e l’organizzazione di eventi – fiere, raduni – che ne promuovono più o meno direttamente la vendita.
Le armi da caccia fanno parte della categoria delle armi leggere, che include anche mitragliette, bombe a mano e altre amenità, con cui si combatte circa il novanta per cento delle guerriglie che insanguinano il pianeta. Questa fascia giuridica gode di enormi facilitazioni nella circolazione internazionale, a differenza delle armi pesanti, non solo per un fatto di dimensioni, ma in virtù della scusa che i cacciatori abbiano il diritto di viaggiare per andare a sparare a leoni, elefanti, giraffe, orsi, a proprio piacimento.

Ma rimaniamo in casa. Grazie all’articolo 842 del Codice Civile, i cacciatori possono entrare nelle proprietà altrui, a meno che non siano costosamente recintate, e sparare fino a 150 metri dalle abitazioni. Anche con carabine che raggiungono gittate di 3.500 metri, pari ad armi belliche

I requisiti minimi imposti dal Ministero della Salute per concedere licenze venatorie sono incredibili: se per la difesa personale bisogna perlomeno contare su vista binoculare, per la caccia si può essere monocoli, e portare gli occhiali. Inoltre, gli arti superiori possono essere sostituiti da protesi, “purché buone”. (http://gazzette.comune.jesi.an.it/143/8.htm)

Un cacciatore, volendo, può possedere un vero e proprio arsenale. Sono armi presenti in una dimensione domestica, nelle famiglie, in un momento storico in cui ci si trova a contrastare con estrema difficoltà criminalità comune, bullismo, sopraffazione e violenza nei giovani e negli adulti.

Personalmente, sto lavorando da un anno alla realizzazione di un documentario che, pur senza trascurare gli animali (noi contribuenti, tra l’altro, ci prepariamo a pagare all’Unione Europea ingenti multe a causa dello sterminio di milioni di esemplari protetti, per le compiacenti deroghe venatorie concesse da 13 delle nostre regioni) analizza la caccia anche e soprattutto dal punto di vista dell’impatto sull’uomo.
E’ un lavoro che richiede ancora qualche tempo per giungere al suo completamento. Sia perché non è semplice trovare finanziamenti davvero autonomi su un simile tema.
Sia perché mi piacerebbe tirare le somme ascoltando ogni parte in causa, e nessun rappresentante delle istituzioni coinvolte ha finora accettato di lasciarsi intervistare sull’argomento, che include anche di rispondere a proposito della lista annua dei morti per incidenti venatori.
Sia, infine, per la difficoltà incontrata nel reperire alcuni dati che ritengo fondamentali per la mia inchiesta. A più riprese infatti mi sono rivolta alla Polizia di Stato, domandando se fosse possibile sapere quanti delitti, fra omicidi e ferimenti, siano stati commessi in Italia negli ultimi dieci anni con armi da caccia, data la loro enorme diffusione nelle abitazioni civili. E anche quanti autori di delitti fossero, incidentalmente, titolari di patentino venatorio.
Ho naturalmente incontrato grandissima cortesia, ma pur insistendo non ho ottenuto alcuna risposta. Sembra che questi dati non esistano. Talvolta, mi è stato spiegato, simili richieste costituiscono buone occasioni per elaborarli. Tornerò a disturbare. di Margherita D’Amico

Fonte : http://www.ilrespiro.eu/

 

30 Maggio 2010

Caccia sostenibile?

di Pino Paolillo – “E allora, volete un accordo invece delle polemiche?
Ecco le condizioni, ideologia a parte: basare la caccia sulla effettiva e accertata capacità faunistica dell’ambiente, il che vuol dire pensare alla caccia partendo dagli animali e non dal numero dei cacciatori, delle tessere, dei fucili e delle cartucce da vendere. E quindi caccia solo su specie stanziali , in comprensori di caccia limitati, sulla base di piani di abbattimento sottoposti a severi controlli e rigidamente programmati sui risultati dei censimenti annuali effettuati. Il che vuol dire cacciatore legato al territorio e fine del nomadismo venatorio. Non lo dico io, lo dicono tutti gli esperti.

E invece sento ancora parlare di caccia alle allodole e ai migratori in genere, del mese in più di caccia, di depenalizzazione dei reati venatori, così come si faceva trenta o quarant’anni fa.

E al diavolo i censimenti, le regole, il legame con il territorio: caccia libera senza tante storie, perché in quel paese sparano fino a maggio, in Marocco fanno (facciamo) le stragi di quaglie, in Albania ammazzi trenta beccacce in una giornata , in Ungheria le oche e così via.
E allora siamo noi che chiediamo un salto culturale, una mentalità nuova, un maggiore senso di responsabilità, elementi che, nel mondo venatorio italiano, nella sua generalità, sono ancora concetti astratti”.di Pino Paolillo

Fonte : Blog WWF

 

13 Maggio 2010

Non e’ una “tragedia della follia” –

di Valter Fiore – E’ piuttosto follia lasciare in mano armi a persone violente, e i cacciatori lo sono sempre, per definizione.

La morte delle due guardie zoofile di Genova ammazzate da un cacciatore quando sono andate a notificargli un verbale di sequestro per maltrattamento dei cani non e’ una “tragedia della follia”, o perlomeno non e’ solo questo.

Come ha dichiarato il Sottosegretario Martini “Questo gravissimo episodio ci fa comprendere come quella della difesa degli animali sembri avere i profili di una vera e propria battaglia di civiltà con le sue vittime”. E’ vero. Le seppur minime leggi a protezione degli animali, il faticoso processo del farle rispettare, la crescente sensibilita’ dell’opinione pubblica su questi temi vengono vissute come un affronto da molti di quelli che dello sfruttamento e dell’uccisione degli animali hanno fatto la ragione della loro vita.

Chi considera gli animali come “cose proprie” non puo’ tollerare che qualcuno venga a sindacare sul come questi animali vengono trattati: sono “roba” sua e ne fa quello che vuole. In nome della “selezione della razza” come faceva l’allevatore di cani Guberti, per puro sadismo come tanti episodi di cronaca (finalmente) raccontano, per insofferenza a una qualunque, minima regolamentazione.

Non si tratta solo di risentimenti o di personalita’ deviate; non si possono passare sotto silenzio le continue provocazioni contro le associazioni protezioniste accusate di “lucrare” con gli animali, i “sondaggi” per la reintroduzione della soppressione nei canili, le continue polemiche contro la “repressione” per i casi di maltrattamenti. Sono associazioni e gruppi di pressione che fanno capo ad ambienti venatori, a settori dell’allevamento e a circensi che non accettano qualsiasi minima idea di protezione, meno che mai di diritti, degli animali.

Bisogna interrogarsi sull’assurdita’ di concedere centinaia di migliaia di permessi di porto d’armi, per la caccia, o per la difesa personale con controlli palesemente inadeguati. Non dimentichiamo che la caccia, oltre ai milioni di animali ammazzati e’ anche causa, ogni anno, di innumerevoli incidenti con decine di morti e centinaia di feriti.

Bisogna valorizzare e facilitare il lavoro delle guardie zoofile e venatorie invece di intralciarlo con sempre piu’ astrusi vincoli burocratici.

Sopratutto non bisogna arrendersi – mai – all’ignoranza, alla malvagita’, alla miseria di tutti coloro che non sanno guardare negli occhi un animale.

Piangiamo ogni giorno milioni di vittime non umane, oggi dobbiamo piangere Elvio e Paola, vittime umane della stessa violenza.

di Valter Fiore, 12 maggio 2010

Fonte : http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=956

 

16 Aprile 2010

UNA PRATICA ANACRONISTICA E ANTIEDUCATIVA-

di Roberto Marchesini – Il rapporto tra l’uomo e le altre specie è sempre stato evidentemente problematico per una serie di ragioni, non ultimo il desiderio della nostra specie di avere l’esclusiva sulla gestione del territorio e di sottomettere gli altri esseri viventi alla propria potestà.
Questa tendenza, che non ammette convivenza e pari dignità alle altre specie, era già presente nel Paleolitico, se è vero che proprio all’uomo si deve la distruzione della megafauna del Pleistocene. E non si tratta solo della pratica venatoria a scopo alimentare, ciò che usualmente vediamo descritto come il glorioso cammino dell’uomo, ma di una più profonda volontà di annientare le altre specie: togliere loro l’ambiente di vita, allontanarle o ucciderle a titolo gratuito.
Ancora oggi, che praticamente abbiamo portato a estinzione metà delle specie presenti sul pianeta e che ne abbiamo desertificato la presenza nelle campagne, nei boschi, nei fiumi e nelle città, non si è placata questa fame di distruzione, alimentata e giustificata in mille modi differenti. Solo pochi mesi fa camminavo in una campagna desolata infestata non da ratti o da cavallette, ma da torme di cacciatori ottusi pronti a sparare alla più pallida traccia di movimento e pensavo alla violenza che deve subire quotidianamente chiunque abbia a cuore la presenza degli animali.
Vivere in campagna significa stare all’inferno, subire ogni sorta di angheria da parte dei cacciatori. Ho insegnato ai miei figli a rispettare gli altri animali e tuttavia non ho potuto impedire che un cacciatore sparasse a una lepre presso il mio cancello di casa, davanti al mio bambino di cinque anni che piangeva disperatamente.

Per più di un mese mio figlio ha fatto fatica ad addormentarsi, o si svegliava in preda a incubi.
In dieci anni ho subito una lunga sequela di abusi: mi hanno avvelenato il cane, distrutto la recinzione di casa, fatto piovere i loro pallini dentro casa, svegliato regolarmente il sabato e la domenica in un clima di guerra; sono stato persino aggredito dentro il mio giardino da un loro cane, una volta che avevo dimenticato il cancello aperto. Tra parentesi, in quest’ultimo caso il cacciatore ha detto che la colpa non era sua, bensì mia che non avevo provveduto a barricarmi in casa.
Siamo al paradosso, ma naturalmente tutto rigorosamente a termini di legge… o quasi. Ma nessuno controlla, e poi come sarebbe possibile?
Uccidere per divertirsi, provarsi nella performatività sportiva di colpire un fagiano d’allevamento, pretendere che l’ambiente sia a propria totale disposizione, turbare la quiete pubblica e mettere a repentaglio l’incolumità altrui, girovagare sotto le abitazioni delle persone con un fucile carico, spargere esche avvelenate: questa è la caccia, nient’altro.
Una pratica anacronistica e priva di significato, sostenuta per gli interessi di uno sparuto numero di persone ai danni dell’intera comunità.
La caccia non può essere regolamentata ma solamente vietata.
Dietro alla caccia non c’è solo l’istante dell’uccisione, ma si nasconde un modo perverso di gestire il territorio e di distruggere l’ambiente naturale.
In altre parole, prima creano i danni poi si propongono come i terapeuti, con gli organi mediali e i latifondisti agrari che troppo spesso danno loro man forte.
Penso all’allarmismo infondato sulle torme di caprioli, cinghiali, volpi, nutrie che in questi anni dovrebbero scorazzare per boschi e campagne seminando panico e distruzione. Chi li ha visti?
Cari cittadini, andate in campagna e troverete solo lunghe distese di terra arida sull’orlo della desertificazione e qualche fagiano confuso che sembra chiedersi come mai sia finito lì. dr.Roberto Marchesini

Fonte : http://www.ilrespiro.eu/articolo.asp?id=103

 

15.12.2009

Né di destra né di sinistra. La caccia è solo in declino

di Oscar Grazioli – Mentre leggevo le interessanti considerazioni di Valerio Carrara e Livio Caputo sull’intrigante domanda posta dal Giornale, ovvero se la caccia fosse di destra o di sinistra, chissà perché, mi fischiavano le orecchie. Per interrompere il fastidioso acufene ho messo mano alla penna. Dunque, il tutto nasce da un’intervista al ministro Michela Brambilla che, sul Giornale ha affermato: «Il Pdl non è più il partito delle doppiette». Avesse detto a Floris che aveva in animo di sostituire l’inno di Mameli con Bella Ciao si sarebbe attirata meno antipatie e meno contumelie dal mondo dei seguaci di Diana del Pdl.

Premetto di essere eticamente contrario alla caccia, perché il fucile (oltre a cani, richiami, appostamenti fissi e mobili ecc.), «gioca» contro chi ha solo un’arma a sua difesa: darsela a zampe o ad ali. Insomma, scappare.

Dice bene Carrara quando chiarisce che la caccia non è uno sport. Se lo sport infatti si basa su analoghe possibilità di vincere per i contendenti, allora la caccia ne è la negazione.
Poi, anche all’interno dell’attività venatoria esistono diverse varianti, alcune più odiose e vili di altre, a mio parere. Mettersi dentro una «botte» (dotata di frigobar e stufa) con i richiami vivi che invitano i fratelli in volo a posarsi nell’acqua e sparare, mimetizzati da frasche, a uccelli che hanno percorso migliaia di chilometri per svernare è un delitto, così come usare le allodole chiuse in gabbia o le civette sul palo, per richiamare a tiro uccelletti che pesano meno della rosa di pallini, è un’infamia. E sfido chiunque al sostegno ragionato e ragionevole della caccia agli uccelli migratori, già decimati da intemperie, cambiamenti climatici e inquinamento ambientale. Tutt’altra storia per chi se ne va solitario con il cane e il fucile, magari a un colpo solo in (ricordate De Niro e il cervo 131 ne Il Cacciatore?), alla cerca della beccaccia, il re del sottobosco, il cui volo, sinuoso e improvviso, è un vero ci- mento per il miglior tiratore. Leggete Silvio Spanò, a riguardo, maestro di caccia che contrasto ma ammiro.

La caccia è dei contadini e dei «compagni» dell’Emilia e della Toscana, scrive Caputo. Ma quando mai? Visto che vivo in una città dell’Emilia, nella cui provincia esiste un comune (Cavriago) dove i cittadini si tengono cara l’unica statua pubblica di Lenin al mondo, posso garantire che, fuori da questo folclore, i giovani emiliani amano più l’happy hour e il letto (soli o ben accompagnati) che l’alba, i rovi e il fucile. Quanto agli anziani, erano «compagni» un tempo, quando facevano gli operai in fonderia e già allora, mostravano maggiore inclinazione per il divano che per la levataccia dopo una notte di smanie passata a sognare lepri e fagiani. Ora poi, proprietari della fabbrichetta con dieci dipendenti, girano in Bmw, e passano più tempo a bestemmiare contro i sindacati che a lucidare il fucile col grasso.

L’attività venatoria, a parte quella di chi aveva fame, storicamente appartiene più alle classi agiate, nobili o borghesi. Da Boccaccio a Dumas, da Federico di Svevia a Carlo d’Inghilterra, da Puccini a Rigonfi Stern, da Coppi a Baggio, da Hemingv a Montanelli, la caccia è sempre stata più roba da «siuri» che da minatori. Quanto ha detto il ministro dunque ha un fondo di verità, ma l’importante è che la caccia sia in declino di qui o di là. E adesso sparate. lo sto già scappando.

Oscar Grazioli
http://www.anmvioggi.it/10559/15-12-09/n%C3%A9-di-destra-n%C3%A9-di-sinistra-la-caccia-%C3%A8-solo-declino

 

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here