Incompatibilità tra attività venatoria e il ruolo di agente di polizia o guardia venatoria

Vigilanza Venatoria

Le incompatibilità tra attività venatoria e il ruolo di agente di polizia o guardia venatoria

di Augusto Atturo

  • di seguito l’articolo>Corte di Cassazione Civile, sentenza n. 5538, del 13 Aprile 2001.

“Un recente pronunciamento della Cassazione sull’attività venatoria da parte degli  appartenenti ai Corpi di Polizia dello Stato e degli Enti Locali  Come è noto agli addetti ai lavori, l’art. 27,quinto comma, della legge 157/92 individua alcuni casi di  incompatibilità tra il ruolo di “guardia” e quello di cacciatore; ci riferiamo ovviamente al caso di  coloro che,ricoprendo una funzione che li abilita a svolgere attività di polizia venatoria,nel proprio  tempo libero intendano esercitare la caccia.

La norma suddetta riguarda due distinte fattispecie di illecito amministrativo,peraltro prive di  corrispettiva sanzione statale (la legge 157/92 non la contempla, ragion per cui occorrerà fare  riferimento alle eventuali sanzioni e disposizioni integrative previste dalle singole leggi regionali). E’  infatti opinabile che possa applicarsi la sanzione di cui all’art. 31,primo comma-lett.e) concernente la  caccia nelle zone di divieto non già diversamente oggetto di sanzione; il tenore di quest’ultima  norma pare riferirsi più propriamente a zone vietate alla generalità dei cacciatori.

La prima possibile violazione è quella della guardia venatoria volontaria che pratichi la caccia  durante l’esercizio delle funzioni di vigilanza ,con la conseguenza di non assolvere come dovuto alle  esigenze di servizio organizzate dall’associazione di riferimento.

Una condizione di palese incompatibilità tra ruolo di controllore e controllato,che però non preclude  alla guardia volontaria la possibilità di recarsi a caccia quando non esercita le suddette funzioni di  cui all’art. 27.

Più rigido è il regime previsto per gli agenti pubblici dipendenti,sia delle forze dell’ordine dello Stato  che degli enti locali od enti parco (l’art. 27 ,secondo comma,include genericamente tra i soggetti  abilitati alla vigilanza venatoria anche tutti gli  ufficiali e agenti di polizia giudiziaria , senza distinzione  di appartenenza).

Nel loro caso,sempre ai sensi del quinto comma dell’art. 27 l.157/92, è vietato cacciare  “nell’ambito  del territorio in cui esercitano le funzioni”, a meno che non si tratti di interventi di controllo  faunistico e abbattimento disposti dall’Ente di appartenenza ai sensi dell’art. 19 l.157/92 (cosa in ogni
caso differente dall’esercizio venatorio per intento ludico personale).

Data la perentorietà della disposizione ,parrebbe che gli agenti pubblici dipendenti siano pertanto  obbligati a frequentare a fini venatori gli ATC o Comprensori Alpini ove non esercitano normalmente  le loro funzioni.
Di immediata individuazione appare il territorio precluso per gli agenti degli enti locali territoriali (il  parco per il guardiaparco, la provincia per l’agente provinciale,il comune per l’agente di polizia  municipale,ecc.).

Nei caso del personale dei Corpi dello Stato sono sinora sembrate praticabili interpretazioni relative  a un divieto per la circoscrizione territoriale di normale competenza; in caso contrario ci troveremmo  di fronte ad una preclusione ad esercitare la caccia su tutto il territorio nazionale (vedi parte finale  dell’articolo).

Per alcune figure di agenti di polizia locale è stata proposta un’interpretazione “di comodo” basata  sull’assunto che nei turni di riposo non si esercitano le funzioni di polizia giudiziaria (ragion per cui  cesserebbe temporaneamente l’incompatibilità tra lo status di agente di p.g. e quello di privato  cittadino cacciatore).

Citiamo il precedente costituito dalla Sentenza del Pretore di Genova n.782 del  31/3/1998,depositata il 30/4/1998 (r.g. n. 267/1998, Pretore S.Merlo, nel giudizio di opposizione  promosso da A.Assalino): si respinge l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione della Provincia di  Genova per il pagamento della corrispondente sanzione prevista dalla legge regionale ligure 29/94,in  relazione al caso di un agente di polizia municipale che,per la seconda volta, aveva esercitato ,fuori  orario lavorativo, la caccia nel territorio del comune ove presta normalmente servizio.
Antitetico a questo pronunciamento di primo grado è risultata la discutibile sentenza della  Cassazione Civile del 13 Aprile 2001, n. 5538.

“Il divieto di esercizio venatorio di cui all’art. 27, co. 1) della legge n. 157 del 1992 opera nei confronti  degli appartenenti alla Polizia Municipale – i quali, ai sensi dell’art. 57 c.p.p., hanno la qualifica di  agenti di polizia giudiziaria soltanto nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza e limitatamente  al tempo in cui sono in servizio – subordinatamente alla limitazione spaziale che essi si trovino  nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza ed alla condizione che siano effettivamente in  servizio” (nella specie la SC ha cassato la sentenza di merito relativa alla sanzione irrogata per  violazione dell’art. 27 cit. a vigile urbano che esercitava la caccia fuori dall’orario di servizio senza  rivestire, quindi, la qualifica di agente di PG ) .

La Cassazione ha pertanto ritenuto che,venendo meno le funzioni di P.G. di cui all’art. 57 del Codice  di Procedura Penale per l’agente di polizia locale fuori servizio, l’illecito non possa riguardare lo  status professionale permanente di “vigile urbano” nell’ambito del proprio comune.

Non ci sentiremmo comunque di ritenere automaticamente estesa tale interpretazione agli agenti  delle polizie provinciali (sebbene anche le “ guardie delle province ” vengano indicate come agenti di  p.g.  nell’ambito dell’ente territoriale di appartenenza quando sono in servizio , ai sensi del già citato  art. 57, secondo comma-lettera b) del Codice di Proc. Penale). Infatti l’art. 29,secondo comma,della Legge 157/92 prevede la possibilità per gli agenti dipendenti  degli enti locali  per lo svolgimento dell’attività di vigilanza venatoria di redigere verbali di  contestazione degli illeciti amministrativi venatori,nonché gli atti di polizia giudiziaria venatoria  (come i sequestri penali)  anche al di fuori dell’orario di servizio. Il che fa venire meno il presupposto  dell’assenza delle funzioni di p.g. per l’agente provinciale fuori servizio, il quale casomai -trovandosi  a caccia- potrebbe agevolmente constatare l’infrazione di un cacciatore presente nella medesima  area in un dato momento,ed avere l’obbligo di intervenire per reprimere la violazione  (riconfigurandosi la situazione di incompatibilità tra controllore e controllato).

Riportiamo di seguito l’intero testo della sentenza della Corte di Cassazione Civile del 13 Aprile  2001, n. 5538.

Si sottolinea un passaggio,potremmo dire, rivoluzionario; la Suprema Corte -infatti- nell’argomentare le ragioni per ritenere compatibile il ruolo di cacciatore con la condizione di agente di polizia municipale fuori servizio,ha altresì affermato che ciò sussiste “a differenza di agenti appartenenti ad altri corpi, quali esemplificativamente quelli di Polizia di Stato o della Guardia di Finanza, ovvero i Carabinieri, per i quali il divieto opera comunque e dovunque, essendo gli stessi considerati dal legislatore sempre in servizio in qualsiasi parte del territorio dello Stato.”

Quest’ultimo assunto sembra pertanto porre in condizione di palese irregolarità amministrativa parecchie centinaia di agenti di P.S., Carabinieri, Finanzieri, Guardie  Forestali, o agenti di Polizia Penitenziaria che sicuramente esercitano la caccia in qualche parte del territorio nazionale, in situazioni evidentemente non prese in considerazione dai rispettivi Comandi nel senso sopra proposto.
Augusto Atturo – aprile 2003

  • Corte di Cassazione Civile, sentenza n. 5538, del 13 Aprile 2001

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DELLA REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Corrado CARNEVALE – Presidente –
Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO – Consigliere –
Dott. Salvatore SALVAGO – Rel. Consigliere –
Dott. Fabrizio FORTE – Consigliere –
Dott. Luigi MACIOCE – Consigliere –

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da : PAULON ALDO, elettivamente domiciliato a ROMA PIAZZA DELLA LIBERTA’ 13, presso l’avvocato SIVIERI ORLANDO, rappresentato e difeso da se medesimo ed in unione all’avvocato BIANCHIN ROMEO, giusta procura a margine de ricorso;

-ricorrente
contro AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI PORDENONE;

-intimata avverso la sentenza n. 38/98 del Pretore di PORDENONE, depositata il 04/02/98; udita in relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/200 del 18/12/2000 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Raffaele PALMIERI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con ricorso de 2 aprile 1997, Aldo Paulon, agente di polizia municipale presso il comune di Barcis (PN), propose opposizione al Pretore di Pordenone contro l’ordinanza-ingiunzione del 4 marzo 1997 con cui la Provincia di Pordenone gli aveva ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di £. 2.000.000 perché, malgrado i compiti di vigilanza venatoria esercitati, aveva praticato la caccia nel territorio di competenza, malgrado il divieto posto dall’art. 27 della legge 157 del 1992.

L’adito Pretore ha respinto l’opposizione osservando che la norma vietava l’esercizio venatorio agli agenti di polizia giudiziaria , fra i quali rientrano gli agenti di polizia municipale quando sono in servizio; e che per le guardie venatorie volontarie, per le quali opera durante l’esercizio delle loro funzioni, è assoluto e peraltro giustificato dalloscopo di evitare ogni possibilità di confusione di ruoli tra i controllori ed i soggetti controllati.
Per la cassazione di questa sentenza il Paulon ha proposto ricorso affidato ad un motivo. La Provincia di Pordenone non ha spiegato difese.

Motivi della decisione

Con il ricorso Aldo Paulon, denunciando violazione dell’art. 27 della legge 157 dell’art. 57 cod.proc.pen., è agente di polizia giudiziaria nell’ambito dell’ente territoriale di appartenenza solo quando è in servizio e che dunque il divieto presuppone un’effettiva e concreta attribuzione di funzioni di vigilanza venatoria; che egli peraltro non svolgeva come attestato delle mansioni attribuitegli, esercitando, infine, la caccia fuori dall’orario di servizio, allorché più non rivestita la qualità di agente di polizia giudiziaria.

Il ricorso è fondato.

L’art. 27 della legge 157 del 1992,così come l’art. 27 della precedente legge 968 del 1977, ha individuato i soggetti tenuti all’espletamento dei compiti di vigilanza venatoria, riproducendo nel 2° comma , esattamente il 2° comma della legge 1977 e perciò includendo nella categoria di soggetti cui è affidata ” la vigilanza sulla applicazione della presente legge e delle leggi regionali”, “gli ufficiali , sottufficiali e guardi e del Corpo forestale dello Stato, le guardie addette a parchi nazionali e regionali, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, le guardie giurate comunali, forestali e campestri e le guardie giurate riconosciute ai termini della legge di pubblica sicurezza”. Nel successivo 5° comma ha, quindi, ribadito per gli agenti dipendenti dagli enti locali delegati dalle Regioni di cui al primo comma ed introdotto per gli agenti di cui al 2° comma “con compiti di vigilanza il divieto di esercizio venatorio “nell’ambito del territorio in cui esercitano le funzioni ” : divieto che è esteso infine dall’ultima parte della norma alle Guardie venatorie volontarie “durante l’esercizio delle loro funzioni”.

Pertanto, poiché il solo collegamento fra le categorie di soggetti indicati dal 2° comma cui la norma ha attribuito funzioni di vigilanza venatoria e gli agenti di Polizia comunale, fra cui rientra pacificamente il ricorrente (pag. 2 della sentenza), è costituito dalla qualifica di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria, per stabilire se anche detti agenti di Polizia municipale siano destinatari del divieto di esercizio venatorio di cui al 5° comma, diviene indispensabile accertare preventivamente se ed in quali limiti gli stessi possano essere considerati agenti di polizia giudiziaria.

Al quesito fornisce risposta univoca l’art.57 del cod. proc.pen., il quale nel 2° comma lett. b) attribuisce detta qualifica “ai carabinieri, alle guardie di finanza, agli agenti di custodia , alle guardie forestali e “nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza alle guardie delle province e dei comuni , quando sono in servizio”: perciò limitandola con riferimento agli agenti di polizia comunale nel tempo (” quando sono in servizio”) e nello spazio (“nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza”), a differenza di altri corpi (Polizia di Stato , Carabinieri, Guardia di Finanza ,ecc. ) i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale e sono sempre in servizio.

Consegue che, siccome il 5° comma dell’art. 27 della legge del 1992 non pone il divieto di esercizio venatorio agli appartenenti dei vari corpi dello Stato e degli altri enti pubblici menzionati dai precedenti commi in quanto tali e per il semplice rapporto di dipendenza, ma per il fatto che abbiano “compiti di vigilanza” e poiché il precedente 2° comma detti compiti attribuisce per quel che interessa solo “agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria”, la cui qualifica compete agli agenti di polizia municipale esclusivamente alle condizioni e con i limiti di cui si è detto, ne deriva necessariamente che essi non sono destinatari di un divieto incondizionato ed assoluto di esercizio venatorio; ma che tale divieto è pur esso subordinato alla limitazione spaziale che essi si trovino nell’ambito territoriale dell’ente di appartenenza ed alla condizione che essi siano effettivamente in servizio, perciò esercitando la funzione di vigilanza loro demandata dalla legge: a differenza di agenti appartenenti ad altri corpi, quali esemplificativamente quelli di Polizia di Stato o della Guardia di Finanza, ovvero i Carabinieri, per i quali il divieto opera comunque e dovunque, essendo gli stessi considerati dal legislatore sempre in servizio in qualsiasi parte del territorio dello Stato.

D’altra parte, la stessa sentenza impugnata ha riconosciuta che la ratio del divieto è quella di evitare una commistione e confusione di ruoli tra controllori e controllati, contraria ai principi di trasparenza e di imparzialità dell’amministrazione, oltreché fonte di inconvenienti e di disservizi; per cui tale ragione verrebbe meno fuori dall’orario di servizio degli agenti in questione, dato che gli stessi, più non rivestendo ex art. 57 cod. proc. Pen.

La qualifica di agenti di Polizia giudiziaria, perdono perciò stesso ogni funzione di vigilanza venatoria anche nell’ambito territoriale del comune di appartenenza. E non può, dunque, essere superata dal tenore dell’ultima parte della norma che estende il divieto alle guardie venatorie volontarie”durante l’esercizio effettivo : in quanto la disposizione non mira affatto a contrapporre i limiti del divieto valevoli per le guardie venatorie volontarie a quelli peculiari della altre categorie, ma ad estendere il divieto di esercizio venatorio , che l’art. 25 , 5° comma della precedente legge 968/1967, limitava invece agli agenti venatori dipendenti degli enti delegati, nell’ambito del territorio in cui esercitano le funzioni, per di più consentendo loro di esercitare la caccia in presenza di particolari motivi e previa autorizzazione degli organi dai quali dipendevano ; e che ora riguarda, invece, tutte indistintamente le categorie cui sono devoluti compiti di vigilanza, indicati nei precedenti commi 1 e 2.

E tuttavia, attesa la ragione del divieto che si è avanti evidenziata, lo stesso è stato subordinato per gli agenti di cui ai suddetti commi,all’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza loro attribuite direttamente dalla legge (2° comma) o dagli enti pubblici specificati dal 1° comma lett. a), nell’ambito del territorio in cui le esercitano; mentre per le guardie volontarie (comma 2° lett. b e comma 4°), non dipendenti da alcun ente pubblico né appartenenti a corpi dello Stato o di altri enti pubblici ( si dà non rientrare in alcuna delle categorie individuate dal 2° comma) e senza una propria competenza territoriale, il divieto non poteva che venir collegato (e subordinato) al periodo di esercizio delle relative funzioni , che per un verso costituisce le il presupposto dei compiti di vigilanza loro ( in astratto) conferiti dalle disposizioni dei commi suddetti; e per altro verso evita di tradursi – operando solo al di fuori di detto periodo – in un’inutile esclusione dal diritto di esercitare la caccia riconosciuto a qualsiasi altro soggetto.

Pertanto, avendo il Pretore accertato che il Paulon esercitava la caccia fuori dall’orario di servizio, allorché dunque non rivestiva la qualifica di agente di polizia giudiziaria allo stesso no poteva applicarsi il divieto in esame; e in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata che ha ritenuto legittima la sanzione allo stesso irrogata dalla Provincia di Pordenone non attenendosi a siffatto principio, va cassata.

Poiché, infine, non occorrono ulteriori accertamenti, il Collegio decidendo nel merito ex art.  384 cod. proc. civ., deve annullare la sanzione impugnata ed in aderenza al principio legale della  soccombenza, condannare l’amministrazione provinciale al pagamento delle spese dell’intero  giudizio che si liquidano come da dispositivo .

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, annulla la  sanzione opposta e condanna l’amministrazione provinciale al pagamento delle spese processuali  che liquida in complessive £. 800.000 per il giudizio di merito; ed in complessive £. 1.100.000 di  cui £. 1.000.000 per onorario di difesa, per il giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 18 dicembre 2000.
Il Consigliere estensore Salvatore Salvago  –  Il Presidente Corrado Carnevale